indicatori di qualità della dialisi

Alberto Giangrande*, Giulio Mingardi, Salvatore Di Giulio, Giovanni Panzetta, Adriano Ramello, Giorgio Triolo.

Commissione “Qualità delle cure / Accreditamento ” della Società Italiana di Nefrologia, *Coordinatore.

Introduzione

Nella nostra legislazione la qualità dell’attività svolta e delle prestazioni erogate è espressamente richiamata dal Decreto Legislativo 502/1992 con le modifiche di cui al Decreto Legislativo 517/1993 (1,2 ) che disciplina i rapporti tra Regioni ed Unità Sanitarie Locali per l’erogazione delle prestazioni assistenziali da parte delle strutture pubbliche e private.

In particolare tali Decreti prevedono che ” con atto di indirizzo e coordinamento, emanato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, sono definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private ……. . ” prevede l’obbligo di controllo della qualità delle prestazioni erogate ” ……. ” adottano i provvedimenti necessari per la instaurazione dei nuovi rapporti previsti …… fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni …… e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate ” .

Nella valutazione della qualità delle cure i Medici tendono a privilegiare la ricerca della qualità tecnica e gli aspetti dell’interazione tra medico e paziente, e prestano particolare attenzione a due dimensioni alla qualità tecnica: l’appropriatezza del servizio fornito e l’abilità con la quale la cura appropriata viene erogata.

Sebbene le risposte professionali siano ampiamente riconosciute come essenziali ed utili, altri aspetti della qualità sono stati enfatizzati negli anni più recenti e meritano attenzione. Il più importante fra questi è il riconoscimento delle preferenze e delle attese dell’utente, e l’opinione che il singolo paziente e gli utenti del servizio sanitario hanno della cura è divenuta un importante indicatore della sua qualità.

L’aziendalizzazione della sanità ed il sistema di rimborso a tariffa delle prestazioni hanno mutato il modo di affrontare il problema dei costi del trattamento del paziente, ed hanno imposto una contabilità di reparto sempre più analitica per confrontare qualità e quantità delle prestazioni con l’ammontare delle risorse impiegate ( ” budget” ). Con l’integrazione di ciò che la scienza ritiene appropriato e raccomandabile e quanto realizzabile con l’ottimizzazione delle risorse disponibili, ci viene richiesto, nel rispetto dei diritti del paziente, di sviluppare una cultura della gestione e di prestare maggior attenzione agli interessi della Azienda.

Nella terapia dell’uremico cronico, lo sviluppo di nuove tecnologie dialitiche e l’acquisizione di conoscenze sempre più approfondite, pur con molti problemi irrisolti, pone, come in altri settori, l’impegno di una attenta valutazione del razionale sia in termini di efficacia sia in termini di bilancio costo-beneficio. La sfida che la medicina delle prove di efficacia (“evidence-based medicine”) lancia alla clinica è più che pertinente e deve essere raccolta anche dalla nefrologia (3,4).

In una situazione di contenimento dei costi, quale l’attuale, nella quale occorre integrare maggiormente il servizio sociale con il servizio sanitario, la percezione che la qualità costituisce il primo obiettivo della cura deve maturare pienamente per risultare esplicita nella sua completezza.

Verificare l’appropriatezza dell’azione rispetto ai fini da conseguire, comporta sia l’attenzione agli interessi dell’Azienda sia una acuta sensibilità per il bene comune e per l’equità sociale.

Oltre che la qualità tecnica o strumentale attinente la cosi detta qualità progettata, la ricerca della qualitàin Medicina ha assunto molteplici dimensioni che riguardano gli aspetti funzionali ed espressivi, l’accoglienza e gli aspetti strutturali, gli aspetti relazionali.

Definire parametri e valori di verifica della realizzazione dei diversi aspetti di qualità delle cure diventa un passaggio indispensabile anche a fini del confronto delle prestazioni erogate da diversi possibili fornitori.

L’adozione di indicatori di processo e di risultato ( ” clinical indicators” ), passibili di continuo aggiornamento, ed il condividere procedure, raccomandazioni, linee guida costituiscono pertanto il primo passo utile per operare in questa direzione. Nell’adozione di indicatori di qualità permane pur tuttavia il rischio che questi si collochino ad un livello estremamente basso e non inneschino pertanto in alcun modo la spirale del miglioramento continuo, o se troppo elevati, risultino inattuabili.

La definizione e l’accertamento della qualità devono, infine, poter misurare, anche separatamente, il grado di integrazione fra le azioni sanitarie della medicina generale e quelle specialistiche e, più in generale, fra quelle sanitarie e quelle più strettamente sociali. Infatti, uno degli elementi più significativi della qualità percepita dal paziente è certamente la “presa in carico” complessiva, insieme con ed oltre la malattia.

I sistemi di controllo di qualità forniscono un aiuto nell’attività di ogni giorno che può essere rilevante: assicurano ai pazienti un miglior livello della qualità della cura, ai medici un quadro di riferimento condiviso ed esplicito, a terzi un quadro esplicito di quanto può essere ragionevolmente atteso dalle azioni sanitarie compatibili con le conoscenze del momento.

Il crescere delle conoscenze scientifiche pone infatti giornalmente la necessità di una riflessione articolata sulla scelta della migliore strategia.

Lo sviluppo di un “mercato della salute” può comportare stimoli nuovi nella ricerca dell’efficienza delle prestazioni e nella soddisfazione della qualità percepita, ma può tuttavia creare pericolose ricadute sul piano delle qualità tecnica se la prestazione non è sottoposta ad una verifica di appropriatezza e di qualità.

La possibilità di accedere indifferentemente a strutture pubbliche e private accentua un sistema concorrenziale che può costituire uno stimolo utile al miglioramento della qualità della cure purché siano condivisi ed attuati gli stessi parametri di valutazione e di verifica.

Le conoscenze scientifiche pongono infatti giornalmente una riflessione articolata sulla bontà dell’assistenza al paziente.

Nel nostro settore il problema, per alcuni aspetti, è stato affrontato lo scorso anno negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna con la stesura di linee guida e raccomandazioni riferite espressamente ai trattamenti dialitici ed alle problematiche cliniche della terapia dell’uremia ( 5,7 ), a dimostrazione di quanto sia attuale la necessità di assumere strumenti comuni di verifica.

Un primo contributo della Commissione “Qualità & Accreditamento”della Società Italiana di Nefrologia, volto a definire alcuni aspetti del trattamento dialitico ritenuti rilevanti nella pratica comune, è stato fornito a margine del Convegno ” Indicatori dell’adeguatezza dialitica ” che si è svolto a Santa Margherita Ligure nel marzo 1997, con l’uso di un questionario a quesiti multipli.

Metodologia

Un questionario a quesiti multipli è stato somministrato in successione a un gruppo di esperti, relatori e moderatori, ed ai partecipanti al Convegno, seconda la tecnica “Delphi”, metodica validata per la costruzione di criteri espliciti, per evocare il consenso tra esperti e per attivare programmi di valutazione ( 8 ).

98 questionari sono stati distribuiti una prima volta, durante il Convegno, a 22 tra relatori e moderatori ed a 76 partecipanti, con un riscontro pari al 96%.

In questa prima fase è stata indagata la rilevanza di 79 indicatori di processo e di risultato relativi a 7 aree fra le più importanti per la sorveglianza clinica del paziente uremico, ed attinenti specificatamente la terapia con dialisi extracorporea e peritoneale: quando iniziare la dialisi, rimozione di molecole tossiche, omeostasi idro-elettrolitica ed acido-base, omeostasi calcio-fosforo, omeostasi cardiovascolare, crasi ematica, nutrizione.

Scelto come discriminante il valore di consenso pari o superiore a 50%, 27 indicatori sono stati individuati come rilevanti ai fini della valutazione della qualità del trattamento.

In una seconda fase, un secondo questionario è stato inviato per posta a tutti i partecipanti alla prima consultazione: a) per confermare la rilevanza assoluta degli indicatori individuati, b) per definire, per gli indicatori passibili di ponderazione, valori numerici di riferimento. Per questi è stato richiesto un duplice livello di riferimento “minimo” ed ” “auspicabile”, e la percentuale di pazienti per la quale è atteso il raggiungimento del valore “auspicabile”.

Le 32 risposte pervenute, pari al 33% dei questionari inviati, hanno consentito di definire un consenso pari o superiore a 75% per 17 indicatori, che vengono di seguito analizzati.

I valori di riferimento indicati sono riferiti come “minimo” valore raccomandato e come valore “auspicabile”, e per quest’ultimo è anche espresso l’atteso indice di realizzazione. Ciò apre sicuramente il dibattito sulla validità dell’unità di riferimento oltre che sulla rappresentatività del campione, pur tuttavia favorisce l’impegno di condividere ed adottare strumenti di verifica, preliminare a qualsiasi attività di miglioramento della qualità.

Risultati

Quando iniziare la dialisi

La decisione di iniziare i trattamento dialitico in un paziente con insufficienza renale cronica è spesso legata a complesse valutazioni cliniche, laboratoristiche, ed all’evidenza di sintomi soggettivi difficilmente quantificabili. La disponibilità di risorse e le condizioni sociali e familiari del paziente sono ulteriori fattori che condizionano spesso il momento d’inizio del trattamento.

Tale incertezza si esprime nella avvertita crescente necessità di disporre di criteri oggettivi sui quali basare questa difficile decisione. Lo sviluppo di complicanze gravi quali la pericardite, l’edema polmonare, una grave ipertensione resistente alle terapie, una diatesi emorragica, una neuropatia periferica, nausea e vomito incoercibili, perdita progressiva di peso corporeo sono classicamente delle indicazioni assolute alla dialisi. Oggi tuttavia, nessuno pensa si debba arrivare a queste fasi della malattia, od anche a fasi meno drammatiche, ma sempre clinicamente rilevanti, prima di intraprendere il trattamento dialitico.

L’intento è di iniziare la terapia prima che insorgano manifestazioni critiche della malattia, favorendo il costante mantenimento del benessere complessivo del paziente.

Il ritardare l’inizio del trattamento espone il paziente a complicanze cliniche ed a una peggior sopravvivenza; ciò è particolarmente evidente nel paziente che inizia il trattamento in situazioni cliniche di emergenza o che è indirizzato troppo tardi al nefrologo (9-12). Un numero crescente di pazienti, specialmente anziani, cardiopatici e diabetici, presenta una fase terminale di insufficienza renale acuta o comunque un rapido deterioramento della funzione renale. I risultati del trattamento in questi pazienti che iniziano la dialisi con funzione renale gravemente compromessa sono spesso deludenti: i giorni di ricovero e il consumo di risorse sono aumentati, la scelta ponderata della modalità di dialisi da applicare è compromessa perché obbligatoriamente indirizzata all’emodialisi e, infine, la mortalità è più elevata ( 11 ).

In alcuni contributi recenti della letteratura ( 5,6,13) sono stati rivisti criticamente i dati scientifici a disposizione per tentare di definire alcune raccomandazioni a questo proposito.

E’ ormai unanimemente condiviso che l’impiego della “clearance” della creatinina non fornisca una misura appropriata della filtrazione glomerulare nelle condizioni di insufficienza renale avanzata. Se non è possibile utilizzare metodiche più precise, quali la “clearance” dell’inulina o le radioisotopiche, una valutazione più accurata della funzione renale residua la si può ottenere utilizzando la media delle “clearances” dell’urea e della creatinina. Un altro espediente può essere l’utilizzo della “clearance” settimanale renale dell’urea sotto forma di Kt/V(urea), come si fa per quantificare la dialisi peritoneale.

La raccomandazione della citata letterature pone l’inizio del trattamento dialitico ad un Kt/V(urea)di circa 2.0, equivalente ad un filtrato glomerulare di circa 10 ml/min/1.73 mq, calcolato con la media delle “clearances” dell’urea e della creatinina. La completa assenza di segni clinici di uremia ed una situazione nutrizionale ottimale sono le uniche condizioni che possono giustificare una attesa ulteriore. Certamente i dati della letteratura e l’esperienza quotidiana ci dicono che nella realtà l’inizio del trattamento avviene a valori di funzione renali più bassi . I dati della nostra inchiesta ( Tab.I ) individuano un valore minimo di 4 ml/min ed ottimale di 7 ml/min, espresso come media delle “clearances” dell’urea e della creatinina, al quale iniziare la terapia sostitutiva.

TABELLA I

Indicatore di qualità Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Quando iniziare la dialisi Minimo Auspicabile %
Funzione renale residua

( Creat Cl+ Urea Cl )/2 ml/min

4.0

7.0 80

La decisione di iniziare il trattamento dialitico è strettamente correlata al benessere del paziente in restrizione proteica ed al rischio di malnutrizione. E’ nota infatti una aumentata mortalità dei pazienti uremici in trattamento emodialitico che iniziano il trattamento con evidenti segni clinico-laboratoristici di malnutrizione ( 14 ). Indipendentemente dal valore di funzione renale residua vi sono pertanto indicazioni pressanti per iniziare il trattamento emodialitico quando gli indici nutrizionali si deteriorano, salvo che la causa della malnutrizione sia diversa dall’uremia. La raccomandazione è di mantenere un introito proteico non inferiore a 0.6-0.7 g/kg al giorno, ed evitare che indicatori meno precoci quali l’albuminemia scendano al di sotto di 4.0 g/dl. Il trattamento sostitutivo può essere richiesto più precocemente dai pazienti affetti da nefropatia diabetica.

Certamente queste indicazioni sono molto più stringenti di quella che è la pratica corrente. Esse non sono basate su evidenze certe poiché mancano studi prospettici e randomizzati che valutino i risultati ottenuti in gruppi di pazienti con diverso inizio di trattamento dialitico; tuttavia, pur classificate come opinioni, esse devono costituire raccomandazioni forti, particolarmente per i pazienti giovani e per tutti quelli con attesa di vita sufficientemente lunga, le cui condizioni cliniche non devono essere compromesse da un inizio ritardato della dialisi. Vi é evidenza chiara infatti degli effetti deleteri di un inizio tradivo del trattamento e non mancano studi pur non randomizzati sull’utilità di un trattamento sostitutivo precoce.

Queste indicazioni possono porre problemi assistenziali e di scelte operative molto complesse e sottolineano come non sempre ciò che è considerato una terapia adeguata è totalmente accertato da un punto di vista scientifico. Nuove strategie sono, ad esempio, allo studio per valutare se con una attenta sorveglianza clinica e con un accurato programma nutrizionale sia possibile procrastinare l’inizio della dialisi e guadagnare complessivamente una più lunga sopravvivenza ed una miglior qualità di vita, in particolare in alcune classi di pazienti come gli anziani ( 15,16).

Rimozione di molecole tossiche

Più studi hanno dimostrato una correlazione significativa tra la “dose” di dialisi e la sopravvivenza dei pazienti emodializzati ( 17 – 19 ). Assicurare una quantità adeguata di dialisi costituisce pertanto un preciso impegno nel trattamento dialitico dell’uremico.

La “dose” dialitica può essere misurata in modo preciso e semplice, e linee guida sulle modalità di rilevazione del parametro e sui valori da perseguire sono stati oggetto di grande attenzione ( 5 – 7 ).

Come metodo di valutazione le linee guida anglosassoni indicano l’analisi della cinetica dialitica dell’urea secondo il modello “single-pool” a volume variabile ed il Kt/V (urea), proposto da Gotch e Sargent ( 20 ) è divenuto il parametro abituale di valutazione della quantità di dialisi extracorporea erogata durante la singola seduta. Non esiste però un accordo sul miglior metodo da impiegare per la misurazione del Kt/V e più metodi sono comunemente in uso nella pratica clinica ( 21, 22 ).Come alternative semplificate vengono indicate, e trovano diffuso impiego, la formula logaritmica di Daugirdas* ( 23 ), o con più cautele, la riduzione percentuale dell’urea (URR, urea reduction rate) ( 24 ).

La letteratura più recente ( 5 – 7 ) consiglia un Kt/V(urea) minimo di 1.2 – 1.3 ( dialisi e funzione renale residua ), equivalente in media ad una URR del 65 – 70%; valore quest’ultimo che può variare anche sostanzialmente col variare del calo ponderale durante la dialisi.

Particolare attenzione va posta alla modalità di raccolta dei campioni di sangue per la determinazione delle concentrazioni ematiche di urea; per la valutazione post-dialisi è consigliato, per ragioni organizzative, il prelievo prima della reinfusione con la tecnica detta “slow flow and stop pump” ( 25 ), che previene la diluizione del campione con sangue parzialmente ricircolato. Una valutazione più rigorosa prevede che il prelievo post-dialisi sia effettuato trenta minuti dopo lo stacco quando le concentrazioni ematiche di urea si ritiene siano perfettamente equilibrate.

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Formula logaritmica di Daugirdas per la misurazione del Kt/V(urea) ( 23 )

Kt/V(urea) = ln ( Ct/C– 0.0081 ) + ( 4 – 3.5 Ct/C) . Vuf/Wt

ove Cè l’urea pre-dialisi ; Cè l’urea post-dialisi ; Vuf è il volume di ultrafiltrazione ( peso

pre-dialisi – W) ; Wè il peso post-dialisi .

** Formula per la valutazione della “Creatinina Clearance” settimanale

Creat Cl/sett ( dialisi peritoneale ) = Dcr Vdialisato ( 24 ore ) x 7/ Pcr

ove Dcr è la creatinina nel dialisato ; Vdialisato è il volume del dialisato ; Pcr è la creatinina

plasmatica

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Le linee guida pubblicate sino ad oggi per la definizione della dose dialitica si riferiscono solo alle tecniche diffusive con membrane “standard”, e non affrontano problemi rilevanti quali l’appropriatezza della “dose” dialitica quando vengono utilizzate membrane ad alto flusso o tecniche convettive. In altri termini è stato possibile definire solo la soglia minima accettabile ma non è stato possibile graduare livelli successivi di qualità.

Pur con questi limiti, le linee guida sulla “dose” dialitica costituiscono uno sforzo notevole, sia metodologico sia scientifico, ed un punto di riferimento ineludibile, fissando utilmente alcuni principi ed alcuni parametri al di sotto dei quali la dialisi non può essere considerata corretta.

Le risposte al nostro questionario ( Tab. II ) hanno indicato un valore minimo di Kt/V pari ad 1.0 ed un valore auspicabile pari o superiore all’1,3 , quest’ultimo da ottenere nel 75% dei pazienti in emodialisi extracorporea.

Per la dialisi peritoneale, la stessa percentuale è riferita auspicabile a valori di “creatinina clearance” settimanale** di 65 ml/min.

TABELLA II

Indicatori di qualità Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Rimozione di molecole tossiche Minimo Auspicabile  %
Kt/V(urea) ( per emodialisi ) 1.0 1.3 75
Creat Cl/sett ( per peritoneale ) 50 65 75
Durata emodialisi (minuti) 200 240 80


Omeostasi idro-elettrolitica ed acido-base

L’omeostasi idroelettrolitica è sicuramente correlata alla modalità del trattamento dialitico e pertanto è considerata un indicatore di qualità del trattamento, anche se riflette in modo importante l’aderenza del paziente alle prescrizioni terapeutiche e dietetiche. Va ricordato che nel paziente in dialisi circa il 50% del potassio viene escreto attraverso l’apparato gastroenterico e numerosi farmaci tra i quali gli inibitori dell’enzima di conversione, i bloccanti i recettori dell’angiotensina II, gli antiinfiammatori non steroidei ed i betabloccanti, interferiscono con l’escrezione enterica e possono essere causa di iperpotassiemia anche con una severa restrizione dell’apporto orale di potassio. Oltre che dall’introito alimentare e dalla rimozione dialitica, i valori di potassiemia dipendono in modo significativo dalla capacità cellulare di regolare l’omeostasi interna dell’elettrolita, capacità che può essere compromessa in alcuni pazienti , in particolare se diabetici, malnutriti, e con disfunzioni endocrine. Una adeguata correzione dell’acidosi metabolica risulta inoltre fondamentale nell’assicurare il miglior controllo dell’iperpotassiemia. Il controllo della potassiemia predialisi, per i trattamenti intermittenti, non esime dall’evitare l’ipopotassiemia postdialitica in particolare nel paziente anziano e nel cardiopatico.

L’acidosi metabolica può riflettere un trattamento dialitico inadeguato. In uno studio retrospettivo non controllato in pazienti uremici in dialisi extracorporea trisettimanale, valori di bicarbonatemia inferiori ai 17,5 mEq/L erano associati ad una peggiore sopravvivenza ( 24 ). Una dose di dialisi inadeguata, la dialisi bisettimanale e l’uso di acetato in sedute dialisi brevi possono compromettere il bilancio dialitico di bicarbonato. All’opposto, una miglior correzione del bicarbonato plasmatico è associata nel tempo ad un ridotto catabolismo proteico ( 26 ) ed a una più lenta progressione dell’iperparatiroidismo secondario ( 27 ), sebbene il ruolo dell’acidosi nella malattia ossea dell’uremico rimane argomento controverso ( 28).

L’importanza dell’espansione di volume è evidente dagli studi che dimostrano il controllo dell’ipertensione arteriosa in emodialisi con la semplice riduzione del volume extracellulare ( 29 ). L’espansione di volume extracellulare che si instaura con l’incremento ponderale interdialitico contribuisce alla formazione dell’edema, all’insufficienza cardiaca congestizia, sino a causare episodi conclamati di edema polmonare acuto.

La frequenza di dialisi urgenti eseguite in pazienti urermici cronici per iperpotassiemia o edema polmonare acuto possono essere utilizzate come “eventi sentinella”, entrare cioè in un programma di controllo di qualità per essere sottoposte ad un esame critico.

Per quanto riguarda l’omeostasi elettrolitica, i risultati della nostra indagine ( Tab. III ) dimostrano che tre parametri vengono ritenuti indici di appropriato controllo terapeutico: la potassiemia, la bicarbonatemia predialitica, l’incremento ponderale interdialitico.

TABELLA III

Indicatori di qualità Valore del 

Parametro

Pazienti con Valore 

auspicabile

Omeostasi idro-elettrolitica

ed acido-base

Minimo Auspicabile  %
Potassiemia ( mEq/L ) 6.0 5.5 80
Bicarbonatemia standard ( mEq/L ) 20 24 80
Incremento ponderale interdialitico ( % ) 5.5 4.0 75

Omeostasi calcio-fosforo

E’ tuttora controverso, pur disponendo attualmente della determinazione del paratormone intatto, quale sia il livello ottimale del paratormone circolante per il paziente uremico in trattamento sostitutivo. In ogni caso il valore di paratormone andrebbe sempre riferito al dato di calcemia ionizzata rilevata al momento della determinazione.

Se da un lato è imperativo correggere o prevenire l’iperparatiroidismo secondario, dall’altro un controllo troppo rigoroso della secrezione di paratormone espone il paziente alla osteopatia a basso “turn over” ( 30 ) ; ciò può costituire un maggior rischio per il paziente in dialisi peritoneale che per la specificità del trattamento già presenta valori di paratormone più contenuti.

La correzione della iperfosforemia dipende non solo dal rigoroso controllo dietetico, ma anche dell’uso attento di vitamina D3 e dei chelanti del fosforo. Tale attenzione è necessaria per rimuovere uno dei fattori patogenetici dell’iperparatiroidismo ed evitare che un innalzamento del prodotto calcio – fosforo al di sopra del punto di saturazione sia causa di calcificazioni ectopiche. Valori elevati del prodotto calcio – fosforo sono concordemente ritenuti la causa principale delle calcificazioni extrascheletriche, in particolare di quelle a localizzazione vascolare ( 31 ).

Sulla base di queste considerazioni sono stati identificati ( Tab.IV) i seguenti parametri di controllo dell’omeostasi calcio-fosforo: calcemia totale, fosforemia, prodotto calcio-fosforo, paratormone intatto.

TABELLA IV

Indicatori di qualità Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Omeostasi calcio-fosforo Minimo Auspicabile %
Calcemia totale ( mg/dl )  9.0 10 80
Fosforemia ( mg/dl ) 5.5 4.6 75
Prodotto calcio – fosforo  60 50 75
Paratormone intatto ( pg/ml ) 225 130 75

Omeostasi cardiovascolare

L’ipertensione arteriosa è di frequente riscontro nel paziente uremico indipendentemente dalla metodica depurativa impiegata ( 32 ) ed è più frequente nel paziente trattato con emodialisi brevi ad alta efficienza che non nei trattamenti prolungati ( 29 ).

Nella letteratura, il ruolo dell’ipertensione arteriosa quale indice predittivo di elevata mortalità non è stato sinora definito in modo univoco, anche a causa dell’associazione della mortalità sia con valori pressori più elevati, sia con valori abnormemente bassi.

Pur tuttavia, evidenze sempre più numerose sono concordi nell’indicare l’ipertensione arteriosa come una delle cause principali dell’ipertrofia ventricolare sinistra, causa a sua volte di aumentata mortalità. Un attento controllo dell’ipertensione arteriosa è quindi ritenuto più che opportuno e si consiglia in ogni caso il mantenimento di valori più bassi di quanto tollerato in passato ( 33, 34 ) . Il controllo dell’ipertensione per mezzo dei farmaci e con la prevenzione del sovraccarico di volume sembrano rivestire la massima importanza, tanto che in questa ricerca ( Tab.V) i valori pressori sono stati identificati quale unico parametro di controllo dell’omeostasi cardiovascolare.

TABELLA V

Indicatori di qualità Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Omeostasi cardiovascolare Minimo Auspicabile  %
Pressione arteriosa sistolica* (mmHg ) 155 140 80
Pressione arteriosa diastolica*(mmHg) 95 85 80
* pre-dialisi, dopo 3’ di ortostatismo

Crasi ematica

Sebbene una favorevole correlazione sia stata dimostrata soltanto tra la correzione dell’anemia e la mortalità cardiovascolare, il miglioramento dell’emoglobina nell’uremico ha un favorevole impatto sulla qualità della vita, sull’attività fisica e sulla funzione sessuale, tanto da condizionare in modo rilevante il risultato globale della terapia sostitutiva ( 35, 36 ).

Alcuni dati evidenzierebbero poi una migliorata risposta immune nel paziente uremico trattato con eritropoietina ( 37 ).

La correzione dell’anemia può essere spesso ottenuta con l’ottimizzazione della “dose” della dialisi, dell’alimentazione, e con la supplementazione di ferro ma frequentemente richiede la regolare somministrazione di eritropoietina ricombinante. E’ ovviamente inaccettabile che la somministrazione di eritropoietina compensi le carenze di una dialisi inadeguata ( 38) .

Una corretta valutazione dei depositi di ferro è essenziale per ottenere una buona risposta all’eritropoietina ed infatti la carenza assoluta o relativa di ferro è ritenuta la principale causa di insensibilità alla eritropoietina.

Le accentuate perdite di ferro, il difettoso assorbimento intestinale del ferro in particolare quando il paziente assume antagonisti dei recettori H2-gastrici, sono eventi che si possono manifestare frequentemente nel paziente uremico. Per la inaccuratezza dei tests diagnostici tuttora disponibili ( 39, 40 ) non è poi infrequente che casi di anemia eritropoietino-resistente dipendano da una sottostimata carenza marziale.

Tra gli esami tradizionali la ferritinemia appare particolarmente poco affidabile perché impropriamente elevata in corso di malattie infiammatorie ed infettive acute e croniche, evenienze cliniche tutt’altro che rare nei pazienti uremici. Per questo motivo vi è un generale consenso che si debbano mantenere livelli ben più elevati di ferritinemia in questi pazienti.

Questo atteggiamento è emerso anche nella presente indagine ( Tab. VI ) dove il valore “minimo” di ferritinemia è stato indicato pari a 100 ng/ml e quello auspicabile pari a 150 ng/ml.

Nello stesso ambito, il valore di emoglobina “auspicabile” di 11 g/dl, si colloca tra le raccomandazioni inglesi e la linee guida statunitense ( 5 – 6 ), al di sotto di autorevoli indicazioni di letteratura ( 35 ) che per lo più tenderebbero ad indicare valori prossimi alla normalità.

Questo dato rispecchia verosimilmente più il risultato di quanto ottenuto con l’eritropoietina nella pratica clinica, che non il suggerimento da perseguire idealmente.

TABELLA VI

Indicatori di qualità Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Crasi ematica Minimo Auspicabile %
Emoglobina ( g/dl ) 9 11 85
Ferritinemia ( ng/ml ) 100 150 75
Indice di saturazione trasferrinica (%) 20 30 75

Stato nutrizionale

E’ a tutti noto che il riscontro di ipoalbuminemia nel paziente con insufficienza renale che inizia la dialisi può riflettere una severa malnutrizione che si è instaurata anche da molto tempo; il riscontro è molto frequente nelle glomerulonefriti intensamente e persistentemente proteinuriche.

La correzione dell’ipoalbuminemia richiede molto tempo, anche quando si applica una dialisi di qualità e si cura la nutrizione, e può richiedere supplementi nutrizionali orali e parenterali anche per molto tempo, con risultati incostanti.

Sebbene l’ipoalbuminemia sia un indice correlato non solo allo stato di nutrizione, ha un elevato valore predittivo della mortalità del paziente uremico ( 24, 41 ).

Altre malattie, al primo poste le infiammatorie croniche e le infettive, possono infatti alterare la concentrazione plasmatica di albumina inibendo la sintesi epatica della proteina e pertanto l’ipoalbuminemia può rispecchiare talora lo stato di nutrizione, talora lo stato infiammatorio, e non raramente il coincidere delle due condizioni patologiche. Sia un ridotto “Protein catabolic rate” ( nPCR ), per inadeguata alimentazione proteica, sia un elevato valore di Proteina C reattiva, espressione di uno stato infiammatorio, sono risultati significativamente correlati con l’albuminemia ( 42 ).

Una correlazione diretta tra albuminemia e dose dialitica non è stata fino ad ora riscontrata e non esistono interventi di provata efficacia per aumentarne le concentrazioni plasmatiche; pur tuttavia è probabile che una elevata prevalenza di ipoalbuminemia nella stessa popolazione di pazienti possa esprimere una diffusa sottodialisi.

Il confronto dei dati e le conseguenti raccomandazioni risentono inoltre del metodo con il quale l’albuminemia è stata determinata e dei conseguenti intervalli di normalità ( 43 ). Studi epidemiologici ( 44 ) hanno dimostrato una coincidenza tra elevata mortalità e bassi valori di dose dialitica cosi come il miglioramento della sopravvivenza ed il contemporaneo aumento dell’albuminenia dei pazienti quando la dose dialitica veniva progressivamente portata a valori adeguati. E’ possibile quindi che una dialisi inadeguata causi a lungo termine uno stato di malnutrizione proteica e questa concorra ad accelerare il tasso di mortalità.

In ogni caso, nonostante la molteplicità dei fattori in grado di influenzare l’albuminemia, non vi è dubbio che l’ipoalbuminemia possa dipendere in primo luogo da un apporto proteico insufficiente; per assicurare un corretto stato di nutrizione è pertanto necessario che l’apporto proteico giornaliero sia regolarmente controllato dalla dietista e che sia costantemente assicurata una dieta di almeno 1 g di proteine per Kg di peso corporeo ideale ( 1,2-1,3 g per il paziente in dialisi peritoneale ) con un apporto calorico globale non inferiore alle 35 Kcalorie pro Kg.

Appare degno di nota che l’unico parametro di controllo nutrizionale considerato indispensabile in questa indagine ( Tab. VII ) sia risultato l’albuminemia; altri parametri, pur considerati importanti in molti studi specifici, quali l’indice di massa corporea e l’nPCR, non hanno invece raggiunto un indice di consenso almeno pari al 50%.

TABELLA VII

Indicatore di qualità

Valore del Parametro Pazienti con Valore

auspicabile

Stato nutrizionale Minimo Auspicabile  %
Albuminemia ( g/dl ) * 3.4 4.0 75
* dosaggio colorimetrico


Conclusioni

Il documento fornisce indicatori di qualità del trattamento per pazienti adulti in terapia dialitica iterativa.

L’indagine offre un primo esempio di “consenso” su un campione rappresentativo di nefrologi italiani, quando non erano ancora disponibili né le linee guida americane né le raccomandazioni inglesi.

La realizzazione di questa analisi deriva dall’intento di prevenire i danni che possono derivare al paziente da un trattamento inadeguato e dalla sentita necessità di intraprendere processi di miglioramento della qualità delle cure nel loro complesso.

I valori espressi non definiscono intervalli discrezionali e non hanno l’ambizione di esprimere la variabilità del dato, e neppure tengono conto della tipologia della popolazione nè della epidemiologia di area. Siamo consci che dati continui dovranno essere espressi sempre, quando possibile, per illustrare la distribuzione della variabilità del risultato, ed essere riferiti ad un ben identificato campione.

Potrebbero essere molto utili in quest’ottica i dati raccolti dai Registri regionali e nazionale; essi potrebbero divenire lo strumento per costruire dati di riferimento e per aggiustare le singole casistiche per la variabilità intrinseca ( case mix ) e consentire ad ogni realtà locale di confrontare i propri risultati di morbilità e di mortalità.

Pur con questi limiti, riteniamo gli indicatori qui analizzati comunque utili a favorire, in ogni realtà, la descrizione dei risultati conseguiti; questi stessi possono inoltre essere assunti come elemento di riferimento per valutare il proprio processo di miglioramento.

La metodologia applicata in questo studio può essere utilmente estesa al confronto abituale fra centri e strutture diverse per poter verificare i risultati di pratiche cliniche consolidate dalla consuetudine.

La verifica della qualità del trattamento dialitico impone ovviamente, oltre che periodiche indagini di laboratorio e rilevazione di indicatori del grado di rimozione dei soluti durante il processo depurativo, la valutazione globale del paziente che comprenda la valutazione clinica e la rilevazione di parametri obiettivi, con controllo del peso corporeo “secco” e della pressione arteriosa al primo posto.

La persistenza di un risultato inadeguato impone la modificazione della terapia, da protrarre per un periodo di tempo sufficientemente lungo per consentire di definire la reversibilità o la refrattarietà del dato.

Ciò può avvenire con un approccio che preveda il trasferimento di tutti i pazienti al nuovo regime terapeutico, oppure con il concentrare l’impegno soltanto sul gruppo di pazienti nei quali il risultato insufficiente ha un riscontro clinico più ampio. Quest’ultimo approccio è una estensione della pratica medica abituale di personalizzare il trattamento entro limiti di terapia condivisi.

Indirizzo dell’Autore:

Prof. Alberto Giangrande

Divisione di Nefrologia e Dialisi

Presidio Ospedaliero di Busto Arsizio

Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo di Busto Arsizio”

Piazza Solaro, 3

21052 BUSTO ARSIZIO

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Riassunto

L’adozione di indicatori di qualità, passibili di continuo aggiornamento nel tempo, costituiscono parametri di verifica indispensabili per intraprendere un processo di miglioramento della qualità delle cure ed assicurano al medico un quadro di riferimento condiviso ed esplicito, al paziente il livello a cui tendere, quando lo sviluppo di un “mercato della salute” potrebbe indurre maggior attenzione al solo contenimento della spesa. La rilevanza di indicatori di processo e risultato relativi a sette aree ritenuti rilevanti nella pratica clinica per la sorveglianza del paziente uremico in terapia con emodialisi e dialisi peritoneale è stata indagata con l’uso di un questionario a quesiti multipli, reiterato secondo la tecnica “Delphi”. Per definire valori numerici di riferimento, per gli indicatori passibili di ponderazione, è stato acquisito un duplice livello di riferimento “minimo” ed “auspicabile”; per quest’ultimo è stato anche espresso l’indice atteso di realizzazione. Le risposte pervenute hanno consentito di definire un consenso pari o superiore a 75% per 17 indicatori dei 79 valutati, ritenuti rilevanti ai fini della valutazione della qualità del trattamento. Un primo esempio di “consenso” su un campione rappresentativo di nefrologi italiani. La metodologia applicata può essere utilmente estesa al confronto abituale fra centri e strutture diverse per verificare i risultati di pratiche cliniche consolidate dalla consuetudine e di nuova acquisizione. Pur con alcuni limiti, gli indicatori analizzati sono utili a favorire, in ogni realtà, la descrizione dei risultati conseguiti; questi stessi possono inoltre essere assunti come elemento di riferimento per valutare il proprio processo di miglioramento.

Summary
The adoption of specific indicators of quality of care which are continuously up to dated supply standards and audit measures which are a prerequisite to introduce quality improvement activities in clinical practice. Moreover, they assure the doctor consensus and explicit statement, patient the aim to improve the outcomes, when purchaser/provider negotiation may encourage a mere attention to the cost control. The importance of audit measures of processes and outcomes regarding seven clinical areas considered relevant to the control of uremic patient in regular dialysis treatment ( extracorporeal and peritoneal ) has been therefore evaluated by a reiterated questionnaire according to Delphi technique. In order to determine numerical standards in the case of measurable parameters, recommended minimum and desirable standards has been obtained; for the latter, the rate of desirable response has also been determined. According to the results, a consensus equal to 75 percent or more has been reached for 17 specific indicators of quality of care out of 79 evaluated. The standards obtained can be usefully adopted to routinely compare performances of either new or consolidated treatment modalities. These indicators of quality of care may also favour in every Unit prospective evaluation of some processes and outcomes and may be assumed as benchmark to test quality improvement.

Giornale Italiano di Nefrologia 1998; 6 : 321-329.

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